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Minaccia turco-ottomana nel Mediterraneo, fino a dove arriverà il Sultano-presidente Erdogan?

Nella nostra traduzione da Valeurs actuelles un eccellente articolo di Alexandre del Valle* che spiega che i paesi dell'Unione europea devono più che mai prendere sul serio la minaccia turca. Nel quadro delle aggressioni militari nel nord della Siria col massacro dei curdi; dell'invio di jihadisti siriani da Ankara in Libia; della rivendicazione delle isole greche dell'Egeo; delle trivellazioni illegali in violazione della sovranità cipriota; dell'apertura delle frontiere UE ai migranti illegali, nel contesto di un ricatto insopportabile, sostegno del separatismo islamista in Occidente.


*Alexandre del Valle, politologo e saggista francese, è autore del libro [qui - qui] ora disponibile anche nella traduzione italiana: ‘Il complesso occidentale – Piccolo trattato di de-colpevolizzazione’, per la Paesi Edizioni (prefazione di Marcello Veneziani)

Minaccia turco-ottomana nel Mediterraneo, fino a dove arriverà il Sultano-presidente Erdogan?

In occasione della conferenza organizzata dall'International Center for Geopolitics and Analytical Prospective (GIGPA) presso la Maison de la Chimie il 29 febbraio, l' ex ambasciatore della Tunisia presso l'UNESCO, Mezri Haddad, presidente del GIGPA, ha invitato a Parigi importanti leader politici dei paesi interessati dalla minaccia "neo-ottomana" e dall'atteggiamento bellicoso di Erdogan nel Mediterraneo. Un pericolo geopolitico ed esistenziale per l'Unione europea, poiché sono direttamente minacciati due dei suoi membri: la Grecia e Cipro. L'organizzazione del simposio è coincisa col momento in cui Recep T. Erdogan ha minacciato di invadere le isole greche, ha inviato jihadisti dalla Siria nella Libia occidentale, ha attaccato il regime siriano per aiutare i "ribelli islamisti" dell'HTS ( ex-Nosra / Al-Qaïda) di fronte ai curdi massacrati, e il vile rilascio al confine dei paesi europei di centinaia di migliaia di migranti siriani e afgani, tra cui un certo numero di islamisti e ex detenuti...

I relatori, incluso l'ex ministro della Difesa greco, Panos Kamenos, hanno ricordato ciò che gli altri leader europei non vogliono vedere: Grecia, Cipro ed Egitto sono sull'orlo della guerra con Ankara per il gas in mare aperto nel Mediterraneo rivendicato illegalmente dalla Turchia. Quest'ultima, insoddisfatta dei confini marittimi legali, vuole aumentare unilateralmente le sue acque sovrane del 35% a scapito dei paesi rivieraschi. L'esercito turco invia regolarmente navi militari per violare le acque territoriali greche (Creta, Mar Egeo) e persino impedire la trivellazione di compagnie italiane (ENI), francesi (TOTAL), greche e cipriote. Durante la conferenza, Georges Lillikas, ex ministro degli affari esteri cipriota; Amr Moussa, ex ministro degli Esteri egiziano nonché l'ex segretario generale della Lega degli Stati arabi e l'ex ministro della Difesa greco del governo Tsipras, Panos Kamenos, hanno affermato che se la Turchia non incontra un fronte unito, lo considererà una debolezza e attaccherà la Grecia nel Mar Egeo. Ricorda che non passa giorno senza che l'aviazione e la marina turche violino gli spazi marittimi e aerei sovrani della Grecia. Kamenos ha anche ricordato che l'esercito greco, consapevole che né la NATO né l'Unione sono state in grado di dissuadere Erdogan, si sta già preparando ad un conflitto.

Come possiamo ancora giustificare il proseguimento dei negoziati di adesione con la Turchia di Erdogan, che minaccia due paesi membri dell'UE?

Notizie recenti confermano il fatto che la candidatura all'Unione europea, ingenuamente supportata dai greci e dalla Repubblica di Cipro in segno di "pacificazione", piuttosto che "unire le civiltà" come è stato sbandierato per giustificare questa candidatura - e particolarmente desiderato dalla NATO, da Londra e da Washington -, ha avvelenato le relazioni turco-europee. Il popolo euforico afferma che se la Turchia fosse stata rapidamente integrata nell'Unione negli anni 2002-2007, quando Erdogan era "moderato", essa non sarebbe diventata una dittatura nazional-islamica che minaccia l'Europa di uno tsunami migratorio, saccheggiando finanziariamente l'Unione europea, negando il genocidio armeno, alimentando il jihadismo (Siria, Libia), minacciando Cipro e la Grecia e bramando le riserve di gas offshore del Mediterraneo.

Abbiamo già spiegato negli anni 2000 che Erdogan, storico islamista, autore di una commedia sulla trama "Massonico-Giudeo-Comunista" (Maskomya), vicino al jihadista afgano alleato con i talebani Gubuldin Hekmatyar, e formato dal movimento islamista turco Milli Görüs, una specie di fratellanza musulmana turca, non è mai stato un "democratico islamico" e che il suo vero progetto era smantellare il kemalismo e trarre profitto dalla restaurazione di un califfato ottomano.

Le ambizioni irridentiste del Presidente-Sultano erano quindi prevedibili. Se la Turchia di Erdogan fosse riuscita a integrare l'UE, questo paese, in ogni caso, liberato dai militari laici e diventato ancora una volta islamista, nell'Unione rappresenterebbe il potere demografico dominante: tra non molto 90 milioni di abitanti, 100 membri del Parlamento europeo e la più alta percentuale di voti nel Consiglio dell'Unione Europea.

L'idea di introdurlo nell'UE nonostante l'incompatibilità geopolotica e il conflitto di civiltà era tanto più stupida in quanto non sono certo gli europei "turcofobi" o "islamofobi" che avrebbero bloccato il suo ingresso e quindi "radicalizzato" Ankara, ma gli stessi dirigenti turchi che, fin dall'apertura dei negoziati nel 2005, hanno rifiutato di riconoscere un paese membro dell'UE, la Repubblica di Cipro e successivamente hanno rifiutato l'integrazione delle norme e dei valori fondanti dell'UE come la libertà delle minoranze, dei media, dell'opposizione (curda e non solo), di riconoscere il genocidio armeno, e infine di cessare l'occupazione di Cipro avvenuta nel 1974. I nostri governanti europei tuttora rifiutano di porre fine a questa candidatura contro natura mentre la Turchia con le sue fregate militari minaccia le navi collegate agli impianti di trivellazione di gas e petrolio italiane e cipriote, effettua ricerche e trivellazioni illegali nelle acque cipriote, rivendica le isole greche dell'Egeo, e denuncia il trattato di Losanna del 1923 che fissa i confini tra Turchia e Grecia.

Non sono gli europei "anti-turchi" che "bloccano" l'adesione all'UE, ma Ankara che viola la legge europea e rifiuta di riconoscere Cipro!

Più che mai, la Turchia si sta evolvendo come ho annunciato nel 2003 (vedi la Turchia in Europa, un cavallo di Troia islamista?) [qui]. E anche dalla fine degli anni '90 (Islamismo-Stati Uniti 1997 e Guerre control'Europa, 2000), mentre le politiche e le analisi occidentali spiegavano che la Turchia doveva essere integrata nell'UE perché era stata "un'alleato contro l'URSS "; perché "è meglio avere la Turchia con noi che contro di noi" ... o perché il rifiuto della Turchia di aderire all'UE rischiava, secondo Jacques Attali, Jacques Chirac e Tony Blair, di provocare uno "scontro di civiltà tra Islam e Occidente". Argomenti di rara stupidità, perché se un candidato minaccia fin dall'inizio di rivolgersi ai nostri nemici se si rifiuta di accoglierlo, è perché una tale candidatura è già problematica. Aprire la porta dell'UE alla Turchia sulla base del ricatto morale ("L'Europa deve" dimostrare che non è un club cristiano", mentre la Turchia di Erdogan vuole essere il leader del mondo musulmano) e accettando che essa violi il diritto europeo e la sovranità di Cipro e della Grecia non è mai stato un sano punto di partenza.

I leader e gli strateghi turchi, che disprezzano la debolezza e la disunione di un'Europa piena di complessità e molto ricettiva al ricatto morale, avevano ragione, dal loro punto di vista, nel cercar di provare a integrare l'UE facendola sentire in colpa, soprattutto imponendole di "dimostrare di non essere un club anti-musulmano". Tuttavia, l'inattuabile promessa europea di integrare una Turchia incapace di soddisfare i criteri richiesti ha solo peggiorato le relazioni UE-Turchia: il diritto e la democrazia europei abilmente invocati da Erdogan in fase di preadesione, hanno permesso di smantellare "legalmente" il potere dei militari laici (5° pacchetto di riforme europee che chiedono la fine del potere dell'esercito kemalista). Una volta liberatosi dai kemalisti, ora in prigione, Erdogan in realtà non ha più nulla da aspettarsi dall'Europa che lo costringerebbe a rinunciare al suo DNA autoritario-nazionale-islamista. Il neo-sultano ha recentemente identificato questa vecchia Europa che disprezza come un "continente in pieno processo di putrefazione", debole, perverso, decristianizzato, nel quale egli invita musulmani e turchi a non integrarsi, ad arricchirsi e a fare molti figli, fino a quando "gli europei non oseranno più uscir di casa nelle strade"... Una vera dichiarazione di guerra geopolitica e di civiltà.

Più che mai, il neo-ottomano Erdogan sta testando le reazioni dei suoi vicini. Non si fermerà finché non troverà davanti ad un fronte di resistenza unificato. Questa osservazione è condivisa anche da numerosi intellettuali arabi come il presidente del Center for Middle Eastern Studies (CEMO), Abdelrahim Ali, anche saggista e deputato egiziano, che ha appena pubblicato The State of the Muslim Brotherhood, Europa e l'espansione dell'organizzazione internazionale (L'Harmattan).

L'autore continua a mettere in guardia gli europei sulla "strategia separatista dei Fratelli musulmani da parte di Erdogan e dei loro alleati Qatar e Turchia, la cui azione sovversiva in Francia e in Occidente consiste nel minare i valori del secolarismo per spingere i musulmani così presi in ostaggio e fanatizzati, a non integrarsi. I promotori di questo progetto sono i Fratelli musulmani e il loro leader indiscusso è Erdogan, che vedono (via Al-Qardaoui) come il nuovo califfo".

Alexandre Del Valle, 4 marzo 2020 [Traduzione a cura di Chiesa e post-concilio]

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