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CAOS LIBIA/ L’ex consulente di Sarkozy: le nostre colpe e il realismo dell’Italia

A un mese da quando il generale Khalifa Haftar ha annunciato l’offensiva dell’autoproclamato Esercito nazionale libico (Lna) per “liberare Tripoli”, nel Paese che fu di Gheddafi si contano quasi 400 morti accertati, mentre in Europa si litiga sui migranti pronti a fuggire dalla guerra a fronte di 50mila sfollati. Alexandre Del Valle, politologo e saggista francese, ospite del think tank Trinità dei Monti e del Club Italie-France ha presentato a Roma Il complesso occidentale. Piccolo trattato di decolpevolizzazione (Paesi edizioni 2019) spiegando al Sussidiario che anche nell’attuale crisi libica “si riesce a colpevolizzare più la vittima che il carnefice”.


Professor Del Valle, lei è associato all’Ipag Business School di Parigi e ricercatore del Center of foreign and political affairs. In Francia qual è la percezione della crisi libica? Ritiene che sia più legata al fattore immigrazione o che ci sia dietro un aspetto più politico?


Le persone non vedono la Libia come l’errore di Sarkozy che ha fatto una guerra destabilizzante per tutta L’Africa, ma come una fonte di colpevolizzazione. Ogni volta che si parla di Libia ci si riferisce ai migranti, a Lampedusa, si parla delle Ong e, a differenza dell’Italia dove c’è un governo con una visione diversa, subito ci sono i benpensanti che dicono: se non accettiamo i migranti, pur essendo clandestini, saremo responsabili della loro morte e delle torture che subirebbero se li respingiamo in Libia. l’Italia sta rifiutando gli sbarchi, quindi si parla degli effetti di queste decisioni, cioè di ciò che rischiano i migranti nei centri libici.


Pensa che non sia così? Che in Libia non ci siano lager anziché centri di accoglienza?


In tutti o quasi i Paesi arabi l’africano è visto male, quindi invece di colpevolizzare l’europeo per le cose che accadono lì, bisognerebbe responsabilizzare i Paesi arabi che hanno sempre diffuso una cultura di razzismo nei confronti degli ebrei e degli africani. Già nelle Mille e una nottel’africano veniva visto come un concorrente sessuale. La sorte degli africani negli Stati arabi è sempre stata terribile, però questo non si dice mai. Vogliono colpevolizzare il popolo europeo, l’Italia, la Francia, per un razzismo che colpisce soprattutto i “neri” nei paesi arabi-musulmani.


Salvini dice: “Aiutiamoli a casa loro”. Macron fa un po’ il gioco delle tre carte. Perché, secondo lei?

C’è un po’ una schizofrenia francese. La Francia spesso colpevolizza il governo italiano sui respingimenti, pero la Francia non ha accettato l’Aquarius a Marsiglia né la maggior parte di queste navi. Un doppio gioco che pur essendo il mio paese devo ammettere. Diamo lezioni di morale a tutti, però abbiamo destabilizzato totalmente la Libia. È lì che si vede il senso di colpa. Adesso la Libia è un buco nero, un caos per il Mediterraneo. Per questo mi permetto di dire che bisogna diffidare da chi colpevolizza. La colpevolizzazione in questo gioco diventa un’arma per far tacere l’altro, non per risolvere o affrontare il problema.


Succede però che pure in Libia il generale Haftar e il premier Sarraj diano la colpa l’uno all’altro della crisi attuale, col primo che accusa il secondo di contare poco o nulla pur essendo riconosciuto dall’Onu come governo legittimo. Chi ha ragione?


Loro si accusano, ma non si colpevolizzano. Non è esattamente la stessa cosa. In geopolitica contano i rapporti di forza. Anche se Haftar non è riuscito a conquistare la capitale così velocemente come pensava, probabilmente ci riuscirà. Per quanto riguarda la legittimità, sta da entrambi i lati. L’ovest ha un governo riconosciuto, l’est ha un Parlamento più recente e se vogliamo più legittimo. Quindi tutti e due sono in qualche modo “legittimi”, però ciò che contano sono i rapporti di forza.


Haftar punta alla conquista del Paese nonostante i morti, perché?


Perché controlla la maggioranza dei pozzi di petrolio, ma per commercializzarlo legalmente ha bisogno della capitale, che è riconosciuta. Quindi la battaglia per il controllo della maggior parte del territorio in Libia si gioca anche su questo fronte. Il grande problema per Sarraj è che ci sono Paesi e entità internazionali che provano a comprare petrolio da Haftar. Alcuni ci riescono, ma oggi è molto rischioso perché si può incorrere in problemi giudiziari. Quindi Haftar è portato a voler essere l’uomo forte che controlla la capitale, perché ha molto petrolio ma non può ancora venderlo legalmente. È questo il grande input per lui.


Italia e Tunisia ritengono di essere i primi Paesi a essere minacciati direttamente dal caos libico se gli scontri dovessero continuare. Le due diplomazie rafforzeranno l’azione per frenare l’offensiva militare di Haftar, ma il premier italiano continua a essere cauto: a Tunisi ha detto “ho buoni rapporti con Haftar, ma questo non significa che l’Italia giudichi positivamente un intervento militare. Non ci piace fare calcoli sulla pelle dei civili, perciò ci stiamo battendo per una soluzione politica”.


Bisogna rimanere nella legalità anche sui flussi migratori. Ci sono delle leggi. Chi vuole emigrare e vuol essere rifugiato politico deve passare da alcuni processi. Pure Macron era d’accordo per fare dei cosiddetti hotspot nei Paesi vicini, magari non in Libia ma appunto in Tunisia, Algeria o Marocco. Questi Paesi invece ci colpevolizzano permanentemente ma non vogliono accogliere i clandestini che ci fanno arrivare, mentre normalmente dovrebbero farlo. l’Europa deve smetterla di parlare dell’immigrazione in termini di razzismo, smetterla di colpevolizzarsi. Ciò che conta è la legge: dire ai Paesi di origine, che a oggi non sempre collaborano, di non ricattarci. Se non collaborano, basta soldi.


Lei accusa l’Europa, cosa dovrebbe cambiare nelle politiche di gestione dell’immigrazione?

Bisognerebbe insistere con i Paesi, non coccolarli. Dire: “Se rifiutate di accogliere i vostri clandestini quando si tratta di un falso rifugiato, che normalmente verrebbe rimandato nel Paese di origine, se non cooperate nella gestione dei flussi migratori o se come Gheddafi ci chiedete denaro, o come con Erdogan con cui l’Europa si è prestata a una sorta di ricatto ci chiedete soldi, bene, i molti aiuti umanitari non ci saranno più”. l’Europa invece non ha ancora mai condizionato questi aiuti al fatto di cooperare nella sicurezza e nell’immigrazione.


Complicato da stabilire nel tempo con un Paese instabile come la Libia.


Vero, per questo penso che l’Italia faccia bene a parlare con tutti e non più solo con una parte. In Francia molti criticano il governo di Conte, Salvini e Di Maio, ma la geopolitica è anche realismo. Invece si guarda con disprezzo al fatto che possa capitare di rivolgersi anche alle milizie libiche per controllare i flussi. Si parla con chi controlla un territorio effettivamente e in Libia, divisa in regioni, zone e tribù, è inevitabile che si faccia.


Com’è cambiata la politica francese in Libia dalla guerra di Sarkozy alla nuova crisi, a cui Macron sta apparentemente solo assistendo e invece sappiamo che personale francese è stato individuato al confine libico?


Sarkozy non aveva una politica vera e propria in Libia. C’è tuttora una grande concorrenza tra Italia, Gran Bretagna e Francia, cioè tra Eni, British Petroleum e Total, perché gas e petrolio libico sono di ottima qualità e ci sono immense riserve. La Francia non riuscirà a scalzare la presenza italiana. Però vuole avere un ruolo nel Mediterraneo, e per avere un ruolo bisogna stare sul campo. Ricordiamo la Tunisia, dove in passato ci fu un’enorme concorrenza. I due paesi, Francia e Italia, sono cugini che si muovono nello stesso spazio strategico. Questo è inevitabile.


Dopo la conferenza di Palermo in cui l’Italia sembrava tornata protagonista, con la stretta di mano dei due uomini forti, siamo in una fase in cui arrivano notizie sconfortanti da Tripoli e migliaia di persone sarebbero pronte ad arrivare in Italia. Pensa che possa essere una ritorsione rispetto a quello che a molti è sembrato un cambio di interlocutore in corsa da parte di Roma?


Non penso proprio che verranno tanti libici. Non è un popolo che ha come destino di emigrare in massa. È un popolo abbastanza ricco all’origine, che sta attraversando un momento difficile. È un po’ come i siriani. Molti siriani oggi hanno l’unico scopo di tornare nel Paese. I libici sono un popolo fiero, nazionalista e non si è osservato un flusso di libici enorme. Non credo che la guerra porterà i libici a fuggire in massa.


Però dai porti libici partono migranti di altre nazionalità, soprattutto dalla costa nord.


Ecco, la Libia è una zona di esportazione di sub-sahariani. Soprattutto a nord-ovest. Per questo capisco che l’Italia abbia preso contatti con le milizie del nord, perché i migranti partivano soprattutto dalla Tripolitania. È abbastanza pragmatico avere rapporti con chi controlla queste zone, anche se a volte sono milizie. La maggioranza delle persone che vengono dal 2012 in poi sono persone sub-sahariane, non libiche. Un po’ come in Algeria, dove ci sono state manifestazioni importanti e si temeva un fiume di 100mila algerini che invece non sono arrivati, non più della media annuale. La crisi in Libia non provocherà flussi di massa. Quello che sappiamo sui flussi migratori è che provengono prevalentemente dalla demografia dell’Africa nera, che raddoppierà in meno di cinquant’anni: da 1 miliardo a 300 mila fino a 2 miliardi e mezzo di persone. Gli storici dicono che non hanno mai vissuto un’esplosione demografica così impressionante. L’Africa nera è la sfida, la Libia è solo un Paese attraversato da migranti.


Lei è stato a lungo a contatto con l’ex presidente Sarkozy sulle questioni di politica estera. Oggi la vulgata giornalistica tende a descrivere la guerra in Libia come una ritorsione francese contro Gheddafi e il suo apparato militare, che non voleva più comprare degli aerei da guerra preferendo apparecchi russi rispetto ai Rafale francesi. Vero o no che sia, è da lì che nasce tutto, anche la crisi odierna, o possiamo dire che sia stato un passaggio meno importante di quanto in Italia non si pensi?


Credo che tutto nasca da un piano dei democratici americani e di Obama, che ha appoggiato le rivoluzioni arabe, le cosiddette Primavere, cominciate con laici e liberali e degenerate grazie all’intervento internazionale promosso in primis dai consiglieri della Casa Bianca, sei dei quali vicini ai Fratelli musulmani. L’Inghilterra, la Francia e l’America di Obama hanno fatto questa guerra in Libia assecondando in buona sostanza le indicazioni occulte del Qatar, che temeva una de-islamizzazione di quel Paese.


Parigi non ha mai nascosto gli investimenti degli emiri in Francia, ma le pare sufficiente per scatenare una guerra?


Oggi sappiamo che la notizia del famoso massacro che ha permesso alla Francia di far votare all’Onu una risoluzione che permetteva di bombardare momentaneamente la Libia poteva essere infondata. Abbiamo fatto una guerra dietro il pretesto di un massacro imminente da parte di Gheddafi, ma la fonte di questa notizia non è mai stata citata. Sappiamo che fake news sono state trasmesse da Al Jazeera per provocare la rivoluzione in Libia, come con Saddam Hussein e come volevano fare in Siria, cioè rovesciare gli ultimi Paesi nazionalisti arabi per mettere al loro posto i Fratelli musulmani. Più che la rivalità commerciale o militare tra Francia, Italia o Russia c’è stato un vero piano dell’occidente alleato del Qatar per rovesciare alcuni regimi. I russi infatti hanno continuato sostanzialmente ad alimentare Haftar, mentre l’Onu sostiene Serraj.


Oggi non ci troviamo più di fronte a un regime, ma a un Paese disgregato. l’Europa, la Francia, l’Italia e la Russia hanno tutti individuato, anche non formalmente, un possibile interlocutore: un nuovo Gheddafi. Pensa che l’Italia abbia scelto l’uomo sbagliato, cioè Sarraj, prima di scaricarlo?


l’Italia ha fatto una politica pragmatica per provare a controllare i flussi migratori e avere un po’ più di sicurezza: non è solo per nuocere al singolo migrante clandestino, ma anche per controllare i flussi di islamisti radicali, perché a volte, pur essendo francesi o belgi, alcuni si fanno passare per rifugiati. Quindi non direi che è stato un errore. l’Italia è capace di cambiare rapidamente alleanze. Bisogna aspettare.


Haftar potrebbe legarsela al dito?


Haftar è abbastanza intelligente da non avere rancore, sa perfettamente che l’Italia deve lavorare con ciò che esiste. Il governo non è riconosciuto solo dall’Italia, ma anche dall’Onu, non è una cosa di Conte o Salvini, e Haftar ne è perfettamente conscio. È per questo che vuole la capitale, perché vuole la legittimità per commercializzare il petrolio e anche per avere un riconoscimento internazionale che per il momento non ha.


Cosa rischia l’Italia?


l’Italia non sarà sanzionata in questo processo, Haftar sa perfettamente che le cose possono cambiare e non può essere rancoroso nei confronti di un Paese che ha seguito la legalità internazionale. Però i rapporti di forza mutano la legalità. La legalità cos’è? E’ come la legge, filosoficamente la legge è fatta da chi è più forte, da quelli che vantano rapporti di forza maggiore. Quindi se cambierà la legalità si costituirà un nuovo ordine. Da cui bisognerà ripartire. Volenti o nolenti.


(Francesco De Remigis)


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