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«Il patto di Marrakesh è un appello alla censura dei media politicamente scorretti»

Nella nostra traduzione da FIGAROVOX / TRIBUNE del 12 dicembre 2018, Alexandre Del Valle[1] esprime preoccupazione per alcune disposizioni del Patto di Marrakech, che mirano a volgere in positivo le informazioni diffuse dai media sull'immigrazione. Quella dei truffatori lessicali è una tendenza peraltro già ampiamente diffusa da tempo; ma che evidentemente va sempre più prendendo consistenza. Esempio: ne La vita in diretta su RAI 1, intorno alle 18 di ieri (12 dicembre)[2], ho personalmente assistito a diverse ripetute interruzioni di commenti che parlavano apertamente di islamismo. Innanzitutto all'inviata da Strasburgo, che accennava la presenza sulla Rete di messaggi di islamisti invitanti ad agire proprio sui mercatini di Natale, non è stato permesso di completare il discorso, ma è stata perentoriamente interrotta con una brusca domanda diversiva. In precedenza un commentatore rilevava come gli attentati tipo l'ultimo, e precedenti, siano opera non di islamisti da moschea ma di 'convertiti' (sic) anche se la loro origine nord africana non dovrebbe lasciar dubbi. Insomma il problema non è assolutamente l'islamismo, ma la conversione all'islam di persone non integrate per colpa nostra. E dunque quanto messo in risalto da questo articolo e dal Patto da noi non sottoscritto (qui - qui - qui), in sostanza e di fatto è in opera già da tempo. Questa è la denuncia consapevole del problema: ma i rimedi? Chi, come, dove, quando? Ma non potrà accadere se non recuperiamo le nostre radici greco-romane si cui si innestano quelle giudaico-cristiane. (M.G.)

«Il patto di Marrakesh è un appello per la censura dei media politicamente scorretti»

Molto è già stato scritto sul famoso Patto firmato a Marrakech all'inizio di questa settimana da 148 paesi membri delle Nazioni Unite. I suoi redattori sottolineano che questo testo volto a regolamentare migrazioni «più sicure» sarebbe «non vincolante». Ma nulla impedirà più tardi agli Stati firmatari e alle autorità europee di «giudicare» intere parti di detto Patto. Esso implica anche che gli Stati ospitanti abbiano il dovere di concedere ai migranti (regolari o illegali che siano) diritti e assistenza finanziaria «senza discriminazioni»; il che equivale a rimuovere qualsiasi differenza tra nazionale e straniero; in breve, a smantellare moralmente da parte dei redattori le sovranità riconosciute nominalmente.

Un appello alla censura «Incoraggiare un dibattito pubblico basato sull'analisi dei fatti per cambiare il modo in cui viene percepita la migrazione" Obiettivo 17 del Patto di Marrakesh

Il Patto di Marrakesh incoraggia i media a combattere e limitare qualsiasi retorica anti-immigrazione, pena la negazione dei finanziamenti pubblici da parte dei governi, essi stessi destinati a sottomettersi alla doxa diversificata che risulta evidente dall'inizio alla fine del testo delle Nazioni Unite. Pertanto, l'obiettivo 17 del Patto richiede «l'eliminazione di tutte le forme di discriminazione e l'incoraggiamento di un dibattito pubblico basato sull'analisi dei fatti al fine di modificare il modo in cui viene percepita la migrazione». Invita i media a partecipare a un progetto politico-manageriale come «attori» di «Migrazione». Con loro, «gli ambienti universitari», «il settore privato» o ancora le «istituzioni nazionali per la difesa dei diritti umani» (che comprende le ONG che noleggiano barche pro-clandestini come l'Aquarius), sono tutti chiamati a combattere contro idee che non vanno nella direzione di un immigrazionismo tutto rose e fiori. Questo obiettivo n° 17 spinge a demonizzare intellettuali, giornalisti e politici che, nel quadro del futuro dibattito sull'immigrazione annunciato in particolare da Emmanuel Macron, mostrino l'intento di controllare l'immigrazione o, a fortiori, di ridurre o eliminare i crescenti aiuti finanziari ai migranti clandestini che il Patto mette sullo stesso piano di quelli legali.

Anche su Internet

Nelle misure da attuare per «raggiungere questo obiettivo», i redattori del Patto intendono «promuovere informazioni indipendenti, obiettive e di qualità, anche su Internet». Intento del quale non si può mancare di rilevare l'ironia dal momento che, nelle ultime settimane, è proprio sulla Rete che è stato denunciato (a partire dagli Stati Uniti) questo controverso patto sull'immigrazione. Questa consapevolezza deplorata dagli estensori del Patto ha anche provocato polemiche in molti paesi occidentali: il ritiro di Italia e Austria e il rifiuto quasi tutti i paesi dell'Europa centrale e orientale «congelamento» della firma della Svizzera dopo il referendum sul primato della legge nazionale; crisi del governo in Belgio (di fronte al rifiuto del NVA fiammingo di firmare il patto), e astuta prudenza del presidente Macron che ha preferito non apparire a Marrakech inviando Jean-Baptiste Lemoyne. I redattori ed i sostenitori del Patto sulla migrazione si sono contentati di fustigare gli oppositori del testo delle Nazioni Unite, senza mai consegnare il contenuto stesso e nascondendo la inconcepibile affermazione della sua natura «non vincolante». I redattori dell'accordo di Marrakesh e i loro sostenitori politici sono determinati a «sensibilizzare i professionisti dei mezzi di comunicazione alle questioni relative alla migrazione e alla terminologia correlata». Si osserverà che la palese contraddizione di un presunto dibattito «obiettivo» sull'immigrazione e la categoria professionale dei giornalisti «sensibilizzata» ad una terminologia «positiva sulla Migrazione» non sembra urtare più di tanto la «sensibilità» redazionale delle Nazioni unite e delle lobbies multiculturaliste che sostengono il Patto.

I suoi editori intendono applicare questa «terminologia» specifica «stabilendo norme deontologiche per il giornalismo» (e la pubblicità). La parola è venuta meno: parlando di «deontologia» - a dispetto di quella già istituita in Francia e altrove - gli editori intendono quindi mettere qualsiasi divergenza di «percezione» nei confronti dei migranti sullo stesso piano di una mancanza dal punto di vista etico e professionale che introduce la logica delle sanzioni correlative. Se in linea di principio queste sanzioni sono il risultato di una commissione congiunta, il Patto chiede ufficialmente agli Stati di punire i non immigrazionisti togliendo i sussidi statali ai media che «deviano» dal messaggio necessariamente positivo sul «migrante»... minaccia che del resto si è già abbattuta sul settimanale Valeurs actuelles a causa di una copertina che mostra una donna musulmana velata.

La piccola aggiunta nel testo del Patto: «nel pieno rispetto della libertà di stampa» non può ingannare nessuno, perché questo diritto si basa sulla libertà di opinione e sulla libertà di espressione, diritti di per sé soggetti a limiti. La Corte europea dei diritti dell'uomo emette regolarmente sentenze non fanno altro che nei casi in cui occorre chiarire se l'ingerenza del governo - prevista dalla legge – sia compatibile o meno col diritto alla libertà di espressione di un individuo. Ora, le conseguenze del Patto, per quanto non vincolanti esse siano, non fanno altro che ampliare le condizioni di legittimità di questa interferenza. E il cerchio si chiude.

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1. Geopolitologo, dottore in storia contemporanea, consulente e saggista, Alexandre del Valle è professore di geopolitica e relazioni internazionali. Ha appena pubblicato The Strategy of Intimidation, dal terrorismo jihadista alla correttezza islamica (L'Artilleur, marzo 2018). 2. La presenza di Foa non è a tutt'oggi avvertibile né nella scelta dei commentatori né nella diffusione dei contenuti. L'informazione di regime prettamente sinistrorsa è esattamente come prima.

[Traduzione a cura di Chiesa e post-concilio]

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