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C’è chi osserva da Parigi

Dottore di Ricerca, docente in Francia e autore di numerosi saggi, il Prof. Alexandre Del Valle spesso partecipa a confronti televisivi internazionali. In Francia scrive abitualmente per Valeurs Actuelles e Atlantico.fr, e in passato per France Soir e Le Figaro. È voce autorevole del panorama culturale francese odierno.


L’intervista

Seguono le domande poste dal Prof. Leonardo Dini e le relative risposte dategli dal Prof. Alexandre Del Valle.

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Leonardo Dini (LD) – Professore del Valle, i suoi interessi culturali e geopolitici sono vasti e coprono molti temi molto attuali nei suoi libri. In particolare, lei ha scritto un Piccolo trattato di decolpevolizzazione dell’Occidente (pubblicato nel 2019 da Paesi Editore in Italia). A volte le copertine descrivono in cifra i contenuti del libro: nel suo Trattato ho notato che l’immagine del frontespizio associa il disegno dell’Uomo Volante con Cappello, di Magritte, con la Mano di Dio, dall’affresco di Michelangelo nella Cappella Sistina. Cosa significa la singolare giustapposizione di queste immagini nel suo libro?


Alexandre Del Valle (ADV) – Il significato della copertina dell’edizione francese è quello del senso di colpa legato alla designazione del colpevole additato. Per quanto riguarda la copertina dell’edizione italiana del libro, che purtroppo non ho avuto il tempo di scegliere, il significato dell’immagine di una suora cattolica con il tradizionale rosario ha sottolineato il senso di colpa nel cristianesimo, da cui deriva la responsabilità cristiano-cattolica nella patologia sociale, che perciò è una colpa collettiva.


Avrei voluto scegliere io stesso la copertina dell’edizione italiana, perché avrei illustrato diversamente il senso occidentale del colpevolizzare, che secondo me non è il frutto diretto della Chiesa Cattolica e del Cristianesimo in se stesso, ma è il risultato del pervertimento di un’idea cattolica che è stata strumentalizzata e ribaltata dai professionisti dell’eversione di stampo terzomondista e antioccidentale, nell’ambito delle visioni Sessantottiste, anti Cristiane sia Marxiste che capital-consumistiche, piuttosto che nella Chiesa tradizionale, nella quale non si è mai avuto questo atteggiamento “pentito” prima del Concilio Vaticano II.


LD – Nel suo saggio più recente, LA GLOBALIZZAZIONE PERICOLOSA (pubblicato in Francia sotto il titolo: “La Mondialisation Dangereuse”, fra poco tradotto in italiano), lei parla di un legame pericoloso tra turbo globalizzazione e danni “collaterali” che in realtà sono “universali”, prodotti da fattori di rischio che si sommano: può spiegare brevemente la sua visione critica del mondo globalizzato? Qual è il collegamento tra la sua tesi e le note teorie di Habermas e Chomsky sull’argomento? Per i lettori: Habermas propone l’ONU come regolatore dell’ordine internazionale, sulla base delle idee di Kant, mentre Chomsky critica entrambi, sia l’imperialismo statunitense che la globalizzazione capitalista.


ADV – Paradossalmente, mi sento più vicino alla critica alla doppia globalizzazione proposta da Noam Chomsky che a quella del maggiore pensatore attuale del globalismo e dell’europeismo, Jurgen Habermas.

In effetti, Habermas sostiene la soppressione delle sovranità nazionali, da buon seguace ed erede della Scuola di filosofia teorica di Francoforte, e vede il movimento globalista, così come l’europeismo, come vie di redenzione e protezione contrarie ai nazionalismi. In generale, è contrario alla sovranità statale-nazionale in Occidente, in quanto uomo (n.d.r.: tedesco) che porta l’impronta del dramma della Seconda Guerra Mondiale.

In tutti i miei libri, ho fortemente denunciato l’operazione di manipolazione che consiste nello strumentalizzare la Shoah, la memoria delle sofferenze degli Ebrei e della Seconda Guerra mondiale per colpire e rendere responsabili la Destra, i sovranisti, e più generalmente “l’Uomo Bianco”. Ne parlo spesso con i miei amici intellettuali ebrei francesi: è un’assurdità, perché Hitler, non era un patriota o un sovranista, ma un fanatico imperialista che odiava le frontiere e le tradizioni dei popoli. Il vero pericolo è l’espansionismo conquistatore che vuol imporre idee totalitarie a tutti e dappertutto. E il globalismo occidentale atlantista ne fa parte, così come l’islamismo califfalista internazionalista, il nazismo, i Marxismi, l’ottomanismo o gli irrendentismi cinesi, russi, arabi, ecc.

Nonostante ciò, nei due libri da lei citati mostro che la grande manipolazione o disinformazione (n.d.r.: il cosiddetto “Great Reset”) delle élite globaliste occidentali consiste nel far credere alla gente che la scomparsa dei confini e delle barriere doganali, sotto l’influenza del globalismo atlantista euroamericano occidentale, promuoverà la pace nel mondo.


Fatto sta che:

  • le guerre atlantistiche in Kosovo (n.d.r.: contro la Serbia);

  • poi gli angloamericani in Iraq e in Afghanistan,

  • poi gli stessi con i Francesi in Libia; ecc.,

  • allo stesso modo della progressiva estensione, tra il 1997 e il 2020, dell’UE e della NATO verso “il prossimo vicino straniero” (espressione russa che designa i paesi dell’Europa orientale e del Caucaso che la Russia considera il suo giardino riservato),

dimostrano il contrario.


LD – In un altro suo saggio, “I veri nemici dell’Occidente”, lei affronta il ​​pericolo emergente del totalitarismo islamico. Sta alludendo al pericolo di un futuro cosiddetto “califfato islamico” in Europa? Cosa può fare l’Islam moderato per prevenire questo rischio dall’interno?


ADV – Più che un califfato, mi riferisco all’idea irredentista, suprematista, neoimperialista e internazionalista dell’Islam radicale, che usa l’immagine del “califfato”, quindi come forza simbolica, per mobilitare le masse musulmane, frustrate dalla globalizzazione, nonché le élite islamiste revansciste, per giustificare la loro predazione e la loro richiesta di conquistare le terre degli altri e le menti dei popoli “infedeli”, che vogliono così poter convertire.


In questo senso, nel 1997, ho creato l’espressione “totalitarismo islamista” (diventato il titolo di un libro best-seller in Francia e tradotto in Italia nel 2004 e la cui prefazione, pubblicata postuma, è di Oriana Fallaci).

Tutto questo perché per me l’islamismo jihadista-salafita e l’islamismo politico dei Fratelli musulmani appartengono alla stessa categoria totalitaria, come è stato definito da Enzo Traverso, o dallo stesso Giovanni Gentile, da Raymond Aron e da Hanna Arendt (n.d.r.: ed E. Canetti, nei rispettivi scritti).

Questa forma di totalitarismo non è necessariamente violenta nella sua fase di preparazione e sovversione, in un territorio ostile non ancora conquistato. E tanto che lo stesso mito del Califfato serve a ricordare ai musulmani (n.d.r.: nel mondo) che devono amare e cercare una sola “Nazione”, quella dell’Islam (“Al Oumma Al Islamiyya”: “La Nazione dell’Islam “), poiché la posizione normale del buon musulmano (n.d.r.: in questa esegesi integrale) consisterebbe nel dominare il “miscredente” e non certo nell’obbedirgli.

Il mito, carburante (n.d.r.: ideologico e militante) del califfato, è stato aggiornato e ideologizzato dai Fratelli Musulmani, ma è anche al centro del programma di tutti gli estremisti jihadisti sunniti, con un’ossessione in particolare in tutto quel che concerne l’ISIS.


Ma, noi dobbiamo sempre ricordare che questo mito è stato fatto rivivere all’inizio del 20° secolo da grandi leader della Fratellanza Musulmana, tra cui Hassan Al Banna e Sayid Qutb, e che furono loro a creare Al Qaeda e a diffondere questa ossessione califfale fino a divenire il DNA, il manifesto ideologico simbolico, dello Stato Islamico e di tutti gli islamisti sunniti radicali.


Questo mito del califfato, ad esempio, è stato utilizzato nella rivendicazione degli attentati di Barcellona del 2017, perché Daesh (n.d.r.: il movimento jihadista islamico ISIS) ha dichiarato apertamente che lo scopo dell’attacco terroristico era quello di riportare tutta la Spagna odierna “miscredente” (n.d.r.: cristiano e laico) al suo precedente status di componente del califfato islamico (nota: nel medioevo ispanico del califfato di Granada), al tempo della dominazione arabo-islamica berbera di Al Andalus (n.d.r.: che dà il nome all’odierna Andalusia).


Questo mito califfale, però, non influenza altri se non i terroristi barbaramente violenti di Daesh o di Al-Qaeda. Ma è anche al centro della mitologia politica teocratica di Hamas palestinese. Ed anche della politica estera e interna di Recep Taiyp Erdogan in Turchia, che quindi vede nel neo-ottomanesimo, il ritorno al tempo del sultanato e del Califfato turco-ottomano che, oltre alla Turchia, dominò il mondo arabo e i Balcani, l’alfa e l’omega e la fonte legittimante del suo irredentismo e del suo neo-espansionismo.


A conclusione della risposta a questa domanda, si può affermare che ciò che oggi è più pericoloso e minaccioso non è il Califfato, come impero islamico che dominerebbe direttamente l’Europa sotto la dittatura Sharia (n.d.r.: potere Islamico, con una ipotetica legittimazione teologico-giuridica di tipo integralista), ciò che non è possibile adesso, ma piuttosto, l’idea e la nostalgia del Califfato che spinge i musulmani ad aderire all’islamismo radicale e a considerare come un’umiliazione l’idea di vivere con i non musulmani e secondo le leggi “infedeli” dei non musulmani.


LD – Tra i rischi che lei descrive, analizzando la pericolosa globalizzazione, tra le righe era anche intuitiva, in sostanza e in fieri (in progetto e in divenire), l’odierna guerra tra la Russia, affiancata dalla sua pseudo-alleata Cina, da un lato, e l’Occidente, dall’altro. Come finiranno questo conflitto e tutti i successivi conflitti caldi o freddi? La Cina assumerà davvero il controllo geopolitico globale entro il 2050 sfruttando Russia e India come alleati subordinati? E come sostituirà la potenza americana?


ADV – Nel mio libro sulla globalizzazione pericolosa, che presto sarà tradotto in italiano, analizzo diversi scenari, sapendo che il peggio non è mai certo.

A cominciare dal teatro delle operazioni in Ucraina.

La vittoria militare parziale o totale della Russia in Ucraina è data per scontata, nonostante gli aiuti finanziari, militari e politici dell’Occidente. Ma se la sconfitta totale dei nazionalisti ucraini è molto probabile, le cose possono cambiare ogni giorno ed essere capovolte nel medio o lungo termine.

Non ne sapremo di più in pratica fino a cinque o sei mesi da oggi, quando entreranno in vigore le “vere” forti “sanzioni economiche contro la Russia (che coincidono con il sesto pacchetto di sanzioni dell’UE).

In questa fase, quindi, sapremo se la Russia sarà in grado di prolungare la guerra e mantenere le sue conquiste o se la sua macchina bellica umana, logistica e convenzionale si sarà indebolita.


Come sappiamo, dopo giugno, gli obiettivi bellici russi sono cambiati per la terza volta, e dopo aver lasciato Kiev e concentrato le operazioni sulla ricostruzione geopolitica della cosiddetta “Nuova Russia” (“Nova Rossia”, a sud ed est), il Cremlino, che ha rafforzato dalla progressione dei suoi eserciti, nel Donbass come a Kherson e verso Odessa, sembra riaffermare l’obiettivo di conquistare tutta l’Ucraina nella sua complessità fino a kyiv. E, contemporaneamente, l’obiettivo è rovesciare il potere, definito dai russi “nazista”.


Passiamo ora al livello europeo dell’analisi: l’UE celebra la sua “vittoria” politica, il rafforzamento della sua ritrovata unità di fronte alla minaccia russa e, allo stesso tempo, celebra la nascita o la rinascita della difesa europea.


Ma, in verità, geopoliticamente e strategicamente parlando, è un errore per me analizzare una guerra civile intraeuropea come qualcosa di positivo e considerare il rafforzamento dell’Alleanza Atlantica, che è uno strumento di dominio strategico americano, come la “prova” della nascita di un’Europa federale, voluta giustamente da Emmanuel Macron.

è un errore per me analizzare una guerra civile intraeuropea come qualcosa di positivo e considerare il rafforzamento dell’Alleanza Atlantica, che è uno strumento di dominio strategico americano, come la “prova” della nascita di un’Europa federale

In questo senso, occorre tener conto dei drammatici effetti delle sanzioni e delle contro-sanzioni sull’inflazione generalizzata in Europa e sulla perdita del potere d’acquisto dei cittadini, su cui pesano sanzioni che i paesi sovrani non occidentali non s di certo non si impongono da sé.

Lo stesso non si può dire degli Americani, che non hanno bisogno di importare idrocarburi da Algeria, Azerbaigian e Qatar per compensare l’embargo russo.


Pertanto, l’Europa assomiglia a uno “zimbello ridicolo” (n.d.r.: letteralmente la frase idiomatica francese “dindon de la farse” vuol dire “tacchino da ripieno” o “pavone che fa la ruota in senso figurato”).

Nel mio libro spiego che gli Europei, confondendo moralità e geopolitica, impongono sempre leggi e misure che le nazioni emergenti o multipolari (ciniche, nazionaliste e pragmatiche), ma anche l’America stessa, non rispettano. Il moralismo dell’Europa si ribalta contro di lei…

gli Europei, confondendo moralità e geopolitica, impongono sempre leggi e misure che le nazioni emergenti o multipolari (ciniche, nazionaliste e pragmatiche), ma anche l’America stessa, non rispettano. Il moralismo dell’Europa si ribalta contro di lei.

Lo si può vedere con la Cina, che è entrata nell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC) molto prima della Russia, ma ha violato tutti i principi e le regole di tale organismo, compresi i diritti di proprietà e il non protezionismo.

è che la Cina ne uscirà vincente, a breve, medio e lungo termine.

L’unica cosa, davvero pressoché sicura al 100 per cento, è che la Cina ne uscirà vincente, a breve, medio e lungo termine. Perché:

  • a breve termine, essa aiuta la Russia a contenere gli effetti delle sanzioni, ma aumentando il prezzo dei beni che le esporta, e nello stesso tempo, importa gas e petrolio russi a prezzi molto bassi.

  • A medio termine, la crisi economica annunciata dell’Occidente, molto indebitato e frammentato, permetterà alla Cina di continuare ad ingrandirsi e a preparare la sua “grande rivincita”, dopo la “umiliazione” subita da parte dell’occidente alla fine del XIX secolo.

  • Al termine, il processo di multi-polarizzazione sarà benefico per la Cina, nella sua volontà di ridurre o distruggere il potere della supremazia Americano-Occidentale.

E il processo in corso di sganciamento dal dollaro (n.d.r.: dedollarizzazione), accelerato dalla strategia commerciale energetica russa in base ad un rinato rublo (n.d.r.: rublizzazione), sarà imitato non solamente dalla Cina, ma anche dall’Arabia, dall’India e da altri Stati multipolari.


Ciò comprometterà gravemente la supremazia americana, basata non solo sulle sue forze armate, il suo soft power e il suo PIL (Prodotto Interno Lordo) economico, ma ancor più sul dollaro che, fino alla odierna guerra di Ucraina, era la sola valuta, o praticamente la principale, usata come mezzo di pagamento dell’energia (n.d.r.: dal blitz che generò nel 1973 il concetto di petrodollari).

il dollaro fino alla odierna guerra di Ucraina era la sola valuta, o praticamente la principale, usata come mezzo di pagamento dell’energia

E così, è evidente che gli Americani sono quelli che hanno (solamente in parte) contribuito a provocare la drammatica (e imperdonabile) reazione russa, con l’estensione permanente della Nato e dei sistemi dei missili dopo gli anni 2000, nonché con la loro ingerenza continua nei confronti del “vicino straniero” russo.

Ed è anche vero che i vincitori economici e militari sembrano essere a breve termine gli Stati Uniti, con l’unanimità pro Nato in Europa, nonché con le ingenti vendite agli europei di armi e di shale oil (n.d.r.: gas di scisto da argillite petrolifera).


E, infine, con la separazione definitiva tra la Germania e la UE, da un lato, e la cosiddetta “Heartland” russa (n.d.r.: terra amata, secondo una definizione geopolitica inglese del primo novecento), dall’altro.

Ma, a lungo termine, Washington non ha alcun interesse ad accelerare lo sganciamento dal dollaro, né ha interesse a provocare l’unione radicale russo-cinese contro l’Occidente; e neppure le multi-polarizzazioni, guidate da Russia e Cina.


LD – Lei è uno dei massimi esperti internazionali di Islam mondiale ed europeo. Chi pensa stia sfruttando chi? L’Islam si sta diffondendo pro domo sua, quindi per i propri interessi? Oppure è al servizio di un progetto cinese globale o di un fondo finanziario globale internazionale? Che ruolo giocano oggi i Paesi del Golfo di fronte al totalitarismo fondamentalista?


ADV – Il tema dell’alleanza sino-islamica antioccidentale fa parte delle teorie di Samuel Huntington sullo scontro tra civiltà (n.d.r.: autore anglosassone, negli anni ’90 del secolo scorso, del celebre saggio “Il conflitto delle civiltà”). Ma, non penso affatto che tale conflitto possa limitarsi geograficamente e geopoliticamente all’alleanza pakistano-cinese contro l’India. Tutti i modelli opposti alla dominazione unilaterale anglo-sassone/occidentale, pur essendo opposti tra di loro, convergono nel combattere l’egemonia occidentale e il suo modello liberal-libertariano visto come un veleno mortale per i modelli nazionali e tradizionali non occidentali.

l’egemonia occidentale e il suo modello liberal-libertariano sono visti dai modelli nazionali e tradizionali non occidentali come un veleno mortale

D’altra parte, inoltre, in Africa, in Asia, in Europa dell’Est e nella stessa Cina, le ragioni conflittuali tra l’Islam radicale e la Cina sono molto numerose. Oltretutto si aggiunge che una delle ragioni della creazione nel 2001 della organizzazione russo cinese detta Conferenza di Shangai (n.d.r.: SCO, Shanghai Cooperation Organization) era innanzitutto la nascita e la promozione di un mondo multipolare, capace di resistere all’Occidente americanizzato, per poi in seguito intraprendere e guidare la lotta contro l’Islam politico e il jihadismo in Asia centrale, in Cina e in Russia.



Insomma, non penso più che un cosiddetto potere finanziario globale abbia alcun interesse a sponsorizzare e promuovere la minaccia politica o terroristica islamica.


Anche se, tuttavia, nel fenomeno “wokista” (nota: dal verbo inglese “to woke”: rimanere svegli; movimento internazionale e atteggiamento di lotta e prevenzione delle ingiustizie sociali nel mondo), ci sono alcune convergenze tra la Società Aperta di George Soros (n.d.r.: Open Society Foundations, movimento finanziato da George Soros, finanziere ungherese naturalizzato americano, ispirato dalla lezione di K. Popper) o alcune multinazionali (n.d.r.: attori “globali”) e i Fratelli Musulmani, in una logica che coniuga strategie di immigrazione e wokismo, cioè nell’ambito di una logica di difesa delle minoranze, a cominciare da quelle che indossano il velo islamico ed estendendosi alla difesa delle minoranze appartenenti alla comunità LGBT (n.d.r.: acronimo che significa “Lesbians, Gay, Bisexual, Transgender”, in italiano: Lesbiche, Omosessuali, Bisessuali e Transgender).

La verità è stata espressa 40 anni fa non da Huntington, che ha rubato la frase, ma dal grande islamologo-orientalista anglo-americano Bernard Lewis, che ha coniato l’espressione “scontro di civiltà” proprio per riferirsi a ciò che chiamiamo islamismo o fondamentalismo islamico o totalitarismo islamista, ma che definisce di fatto come la “terza ondata di espansione dell’Islam”, dopo quella arabo-berbera dei secoli 7° e 8°, e quella turco-ottomana dei secoli 15° e 16°.


Per Bernard Lewis, in quanto islamofilo e erudito orientalista, l’espansione dell’Islam radicale era solo il recupero e l’espressione del “ritorno” dell’Islam politico e teocratico del califfato, che aveva sempre rappresentato l’essenza dell’Islam “classico e normale” prima della colonizzazione europea, la quale imponeva una secolarizzazione forzata o problematica, di inculturazione (n.d.r.: vista come assimilazione culturale senza mediazione) per i difensori del modello della tradizione islamica indigena.


Nel senso della mia interpretazione, l’errore analitico degli Occidentali, prigionieri della loro “autoreferenzialità”, consiste nell’attribuire una spiegazione di tipo Occidentale-centrica al fenomeno globale dell’Islam radicale, nato all’inizio dell’Ottocento (XIX secolo), per reazione al Tanzimat, le ambiziose riforme islamiche imperiali, secolarizzate al tempo degli ultimi Ottomani. In sostanza, tutto si riduce ad una reazione islamofobica alla presunta aggressività islamica.

l’errore analitico degli Occidentali, prigionieri della loro “autoreferenzialità”, consiste nell’attribuire una spiegazione di tipo Occidentale-centrica al fenomeno globale dell’Islam radicale… In sostanza, tutto si riduce ad una reazione islamofobica alla presunta aggressività islamica.

È grave ed erronea l’idea di etichettare l’Islam politico neo-espansionista, concepito dai Fratelli Mussulmani e ripreso più tardi da Hamas, da Al Qaida, e dallo Stato Islamico, classificandolo come una realtà estremista, come se esso fosse estraneo ed esterno all’Islam Ortodosso. È un’interpretazione piuttosto frutto di una politica centrata sul punto di vista euro-occidentale , perché impedisce di comprendere la natura neoimperialista ortodossa e antiriformista del progetto di islamismo politico, da cui sorge la natura teocratica, in parte ortodossa e totalitaria, di questo fenomeno contrario a tutte le nazioni islamiche non favorevoli all’unificazione califfale.


Penso che sia un errore sottovalutare la capacità dell’Islam teocratico di perseguire obiettivi di civilizzazione, geopolitici e suprematisti. Nella mia tesi di dottorato (Università di Montpellier III), avevo concentrato la mia ricerca sulla capacità dell’Islam politico di nascondere o legittimare il proprio suprematismo e imperialismo, attraverso le rivendicazioni delle nozioni di “indigenizzazione”, di anti-colonialismo e di “autonomizzazione”.

E numerosi progressisti occidentali e terzomondisti in buona fede sono caduti dentro questa piega esplicativa del fenomeno (n.d.r.: che prende spunto dalle interpretazioni del filosofo francese J. Derrida).


Pertanto, l’anticolonialismo e l’indigenismo dei popoli mussulmani che hanno vinto prevalendo culturalmente sull’invasore europeo, non vengono fuori dall’Islamismo teocratico radicale neo-califfale, il progetto citato di “Umma Al Islamiyya” (n.d.r.: dominio islamico universale) “nazione dell’Islam planetario”, ma dai nazionalisti sovrani, contrari e ostili a ogni forma di imperialismo teocratico sovranazionale, sia occidentale-coloniale che panislamista. È il perché, ad esempio, di come i miei genitori siciliani, che sono vissuti, come Claudia Cardinale, in Tunisia, hanno visto nella figura di Bourguiba il tipico anti secolarizzato colonialista, ostile tanto alla colonizzazione europea, quanto alla teocrazia panislamista sovranazionale.


LD – Nel suo saggio sulla globalizzazione, tra i fattori di rischio lei cita le mafie: in effetti, l’economia sommersa, dovuta alla corruzione, al traffico di droga e di armi, che si può definire capitalismo mafioso, in una parola, domina letteralmente il mondo, uno shadow power (“potere ombra” o “potere segreto”) trasversale. Cosa comporterà questa deriva verso una finanza ed economie deviate e oltretutto spesso “offshore”, cioè, oltre le regole, grazie ai “paradisi fiscali”, cioè quegli Stati che favoriscono il capitalismo occulto?


ADV – Nel mio libro “La mondializzazione pericolosa”, oltretutto scritto insieme al Geopolitologo e ex-Presidente de la Sorbona, Jacques Soppelsa, spiego che la criminalità transnazionale organizzata, concetto che si sintetizza nell’acronimo CTO, è un grande beneficiario della mondializzazione commerciale e del libero scambio economico finanziario liberale.

la Criminalità Transnazionale Organizzata (CTO) è un grande beneficiario della mondializzazione commerciale e del libero scambio economico finanziario liberale. … degli “attori geopolitici incontrollabili e senza confini”… sono ibridi, illegali, così che possono perfino piegare degli Stati e corrompere i loro decisori, funzionari e forze dell’ordine. Le reti criminali internazionali stanno quindi sfruttando appieno la globalizzazione e l’apertura delle frontiere.

In una società ogni giorno sempre più globalizzata mondialmente e interconnessa, le mafie si sono costituite come autentiche multinazionali del crimine, dove tutte le attività più redditizie, oltre alla droga, sono benvenute.


Esse sono definite degli “attori geopolitici incontrollabili e senza confini”, col vantaggio di essere non configurate in forma statica e certa. Perciò, sono ibride, illegali, così che possono perfino far piegare degli Stati e corrompere i loro decisori, funzionari e forze dell’ordine.

I Paesi più deboli sono i più esposti, ma il pericolo è globale. Perché il flusso di denaro aumenta e gli stupefacenti puntano praticamente tutti verso le ricche economie del nord che sono i più grandi mercati e che possiedono le grandi banche e i paradisi fiscali più sicuri.


Le reti criminali internazionali stanno quindi sfruttando appieno la globalizzazione e l’apertura delle frontiere.

La loro preoccupazione principale, una volta che i loro beni illeciti sono stati trasportati e venduti, è incanalare il denaro sporco nell’economia legale. L’idea di “globalizzazione felice” trova seri limiti: le mafie amano soprattutto gli accordi di libero scambio, le frontiere aperte, le deregolamentazioni, il capitalismo globalizzato e l’economia digitale. Oggi le attività dei CTO (n.d.r.: Criminalità Transnazionale Organizzata) comprendono, oltre alla produzione e vendita di stupe