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Enigma non-allineato: Favorevoli al multipolarismo o schierati contro l'Occidente?

L'ordine internazionale che fece seguito al sistema bipolare ereditato dalla guerra fredda era caratterizzato fino ad oggi dal dominio non contestabile della superpotenza americana. Nel mese di maggio 2010, tre incontri strategici hanno inaugurato la vera fine di questo sistema transitorio unipolare e l'inizio di un sistema multipolare che rifiuta il dominio euro-americano. Primo, l’accordo storico russo- turco firmato in occasione della visita del presidente russo Dimitri Medvedev in Turchia mercoledi 16 maggio 2010.

Un accordo che prevede di vendere ai turchi il 70% del gas e del petrolio necessario ad Ankara, e che garantisce in cambio il free-pass navale dai Dardanelli e la costruzione di una centrale atomica in Turchia. Questa cooperazione strategica tra i due ex-nemici storici in Asia centrale e nel Caucaso preparata da qualche anno, incarna la mutazione della la Turchia (ex-cavallo di Troia americano e della Nato contro l’avanzata dell’Unione Sovietica verso Mediterraneo e al Medio Oriente) in un nuovo attore strategico regionale “autonomizzato”, protagonista di una nuova diplomazia multilateralista e eurasiatica, capace anche di contraddire i piani dell’ex padrone-alleato americano e della Nato in questa zona del mondo. Secondo, il venerdi 14 maggio, in occasione di una visita ufficiale ad Atene del premier turco Recep Tayyip Erdogan, Ankara ha approfittato della crisi finanziaria greca per lanciare una nuova cooperazione coll’ex-nemico, proponendo comunque di “comprare” il debito greco in cambio di alcune isole rivendicate del Mar Egeo... Un segno chiaro che la rinascita geoeconomica della Turchia post-kemalista “amica con tutti” vuole tornare nelle zone strategiche che controllava all’epoca ottomana. Ad una scala più globale e regionale, la nuova Turchia ambisce di controllare non solo il Mare Egeo, i Balcani, e il Medio Oriente, ma anche l’ex- via della Seta verso Pechino, grazie ai paesi turcofoni membri del T6 (sei paesi turcofoni del Caucasio e dell’Asia centrale), in nome di una geopolitica neo-ottomana, eurasiatica e panturchista cara al ministro degli affari esteri turco Ahmed Davutoglu. Terzo incontro strategico di estrema importanza geopolitica, Erdogan (convinto da Davutoglu) si è recato a Teheran il sabato 15 maggio 2010 per incontrare il presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad assieme al leader di un altro attore strategico del nuovo scacchiere mondiale post-guerra fredda: il presidente brasiliano Luiz Inacio Lula da Silva, invitato d’onore del 14esimo vertice del gruppo del 15 (G-15 dei Non Allineati). Ricordiamo che il Brasile e l’Iran sono entrambi membri del G-15, creato in occasione della nona Conferenza dei Paesi Non Allineati tenutasi a Belgrado nel 1989. Il G15 riunisce non solamente la Russia, la Cina, l’Iran, il Brasile, l’India o la Turchia, ma anche altri paesi storici dei non-Allineati, come l’Algeria del presidente Abdelaziz Bouteflika che ha anche lui solidarizzato apertamente con il regime dei Mullah ed era presente a Teheran lunedi. Per non compromettere la loro relazione “amichevole” con l’Occidente, e seguendo una strategia a doppio raggio, Erdogan e Lula hanno giustificato la loro presenza compromettente nella capitale della Repubblica islamica totalitaria affermando di voler risolvere con “mezzi diplomatici”la questione del nucleare iraniano ed evitare cosi l’adozione di nuove sanzioni contro Teheran. Va ricordato che da mesi, l’Agenzia Internazionale per l’energia atomica (Aiea) propone all’Iran di arricchire il suo uranio in Russia e in Francia, ma Teheran ha rifiutato. Quindi in occasione del summit del G15 di lunedi scorso, la Turchia e il Brasile, da sempre contrari alle nuove sanzioni rafforzate contro l’Iran, hanno proposto un accordo, appoggiato dai Paesi non-Allineati del G15, che consiste nel depositare 1200 chilogrammi di uranio iraniano arricchito al 3,5 per cento in Turchia (il materiale resterà proprietà iraniana e monitorato da rappresentanti iraniani e dell’Agenzia atomica internazionale). In cambio, la Turchia e il “Gruppo di Vienna” (Aiea, Usa, Russia, Francia) si è impegnato a fornire all’Iran il combustibile arricchito al 20 per cento necessario per il reattore di ricerca (medico) di Teheran. Quali lezioni possiamo trarre di questi accordi e vertici? Prima di tutto, permettono alla Repubblica islamica di Mahmud Ahmadinejad e Ali Khamenei di guadagnare tempo e rischiano di rovinare definitivamente gli ultimi tentativi per far approvare nuove sanzioni rafforzate (embargo sulla benzina venduta all’Iran ad esempio) contro l’Iran al Consiglio di Sicurezza dell’Onu. È chiaro che malgrado la proposta turca, niente impedirà all’Iran di continuare di sviluppare il suo programma nucleare segreto, a cui Turchia, Brasile e il “G- 15” fanno finta di non credere. Il fatto che l’Occidente non possa rifiutare la proposta a doppio senso del tandem Lula-Erdogan, fa perdere l’ultima legittimità alle sanzioni rafforzate nell’ambito dell’Onu. Poi, questi ultimi eventi dimostrano l’Occidente non può più come negli anni ’90 fare ciò che vuole e non tener conto dei paesi emergenti e dei nuovi blocchi che esigono un mondo multilaterale. Blocchi checontestano il modello liberaldemocratico instaurato dopo il 1945 con la nascita dell’Onu, il cui il Consiglio di sicurezza (composto da cinque grandi e da tre Paesi occidentali) non riflette più i nuovi rapporti di forza mondiali. Sempre presentato in Europa come un moderato convertito al sistema liberale, Lula aderisce infatti ad una visione dell’ordine mondiale ben diversa da quella occidentale, una visione non cosi lontana nel fondo di quella espressa più violentemente dal “bolivarista” Hugo Chavez, e molto simile a quella multipolarista russa, cinese e indiana. Infatti, che lo vogliamo o no, il mondo è cambiato e l’Occidente non è più in grado di imporre al resto del mondo tutte le sue concezioni. I paesi del Bric (le economie emergenti: Brasile, Russia, India e Cina) come il Brasile, ma anche come la Turchia (si dovrebbe quindi parlare di Brict) vogliono tradurre in termini strategici i loro vantaggi geoeconomici (possedono una gran parte del debito dei paesi occidentali), richiedendo di riformare il sistema economico e finanziario mondiale (condanna del protezionismo occidentale; fine alla supremazia del dollaro) e difendendo i paesi canaglia come l’Iran che sfidano l’Occidente “arrogante”. Il Brasile e la Turchia auspicano l’edificazione di un nuovo scacchiere internazionale nel quale l’Occidente non può più dettare né la sua concezione “ipocritamente” droit-de-l’hommiste della geopolitica né l’imposizione di sanzioni contro i paesi del Sud che vogliono anche loro fare parte del club di quelli che contano, cioè del club nucleare. Esigono un nuovo sistema internazionale basato non sui diritti del’Uomo considerati spesso da loro come una “superstruttura” dell’egemonia occidentale, ma sul pragmatismo geoeconomico, la realpolitik, la supremazia degli interessi nazionali (”alter-nazionalismo”) e regionali e una nuova definizione dei diritti dell’Uomo più ”olistica”, quindi snaturata, come lo vediamo all’interno del Consiglio dei diritti dell’uomo basato a Ginevra. Ricordiamo che questo Consiglio è composto e controllato da paesi dittatoriali del sud che calpestano questi stessi diritti in nome della superiorità dell’interesse collettivo su quello dell’individuo secondo loro troppo sacralizzato in Occidente. Come lo si è visto un mese fa in occasione del vertice del Bric a Brasilia, il 15 aprile (secondo vertice dopo quello del giugno del 2009 ad Ekaterinburg, in Russia), lo scopo dei nuovi attori emergenti e strategici del dopo guerra fredda è di porre fine al mondo unilaterale euro-americano. Durante il vertice di Brasilia, il Bric ha proposto di rimpiazzare il dollaro con una nuova divisa e di, instaurare un nuovo sistema finanziario e strategico mondiale meno occidentale e meno europeo. I quattro paesi del Bric rappresentano una popo- lazione di 3 miliardi di persone, cioè il 40% dell’umanità. La loro superficie è di 38.400 milioni di kmq (Russia 17; Cina 9,6; Brasile 8,5, India 3,2). Rappresentano il 15% del prodotto interno lordo mondiale e il 50% della crescita economica attuale. Nel 2020, il loro Pil globale raddoppierà e sarà equivalente a quello di Stati Uniti, del Giappone, della Germania, del Regno Unito, della Francia, dell’Italia, del Canada, e della Spagna aggiunti. Tra il 2008 e il 2014, il 60% della crescita mondiale sarà dovuta a questi 4 paesi che hanno in comune anche un desiderio di rivincita. La loro caratteristica è anche quella di aver fatto decollare il commercio “Sud-Sud” fino ad allora inesistente. All’Onu o altrove nei vertici internazionali, i paesi del Bric votano spesso nella stessa direzione, propongono risoluzioni comuni e in sintonia con il gruppo dei paesi arabi, quello dei Non-Allineati, o quello dell’Organizzazione della Conferenza islamica (57 paesi islamici), che chiedono tutti un sistema internazionale meno demo-liberale e meno centrato sull’Occidente. Con il Bric, non si tratta solo delle potenze emergenti come il Brasile, l’India, la Russia e la Cina, ma anche tutti i loro satelliti regionali o alleati locali e anche le zone d’influenza quali Unasur, Csi (Communità degli Stati Indipendenti, spazio ex sovietico controllato da Mosca), area subcontinente indiano (Asean), ecc. Ricordiamo anche che nel 2005, i Presidenti del Venezuela e di Cuba, seguiti dal Presidente boliviano Evo Morales, hanno dato vita al progetto “Alternativa bolivarista per le Americhe” (Alba), progetto ideato da Hugo Chavez e dai fratelli Castro di Cuba per i paesi latinoamericani dei caribi, che fu firmato a L’Avana per contrastare la Zona di Libero Scambio delle Americhe promosso da Washington (Zlea).Ricordiamo che hanno aderito all’Alba anche il Nicaragua, l’Equador, la Repubblica Dominicana, Saint-Vincent e Grenadine, Antigua e Barbuda. E che a l’Avana, durante il 14° summit dei paesi Non-Allienati, Cuba, la Bolivia, il Venezuela hanno sostenuto il «diritto» dell’Iran e di qualsiasi nazione di dotarsi d’istallazioni atomiche. La velleità «antiegemonica» del Venezuela produttore di petrolio condivide gli obiettivi strategici dell’Ocs, del Bric, di istaurare un “mondo multipolare” capace di controbilanciare l’unipolarismo americano. Per la prima volta dal sistema globale stabilito dall’Occidente nel 1945- 1950 (Onu-Fmi-Nato), i Paesi “emergenti” e i loro alleati o futuri membri come l’Indonesia, o la Turchia, sono in grado di influire sulle regole del nuovo gioco internazionale e bilanciare o respingere le decisioni prese dall’Occidente. Una di queste decisioni consisteva nel sanzionare l’Iran. Infatti, dal 2006, le potenze del Bric sono le prime responsabili della durata e dell’inefficienza dei negoziati tra l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (e il gruppo dei 5+1) e l’Iran, perfettamente consapevole che i leader del Bric e dell’Ocs, la Cina e la Russia, sono in grado di impedire ogni voto all’Onu di sanzioni efficenti contro l’Iran. Fatto significativo: l’Iran è non solamente risparmiato dal Bric, ma «membro osservatore» dell’Ocs all’Organizzazione della Conferenza di Shangai, ”club” anti-egemonico eurasiatico creato da Mosca e Pechino nel 2001 che riunisce Russia, Cina e 5 repubbliche ex sovietiche autoritarie e dispensatrici di idrocarburi dell’Asia centrale. L’Ocs assieme ai Paesi osservatori (India, Pakistan, Mongolia, Iran) comprende il 44% dell’intera popolazione mondiale. I suoi obiettivi sono molteplici: 1) ripulire di ogni presenza occidentale (truppe americane) la zona strategica del gruppo, e quindi bloccare la presenza militare americana in Asia centrale e nel Caucaso; 2) creare un’area di sicurezza attorno alle riserve di petrolio del Mar Caspio; 3) ripristinare la presenza nell’area di influenza latinoamericana e nell’Asia centrale e nel Mare cinese, dopo il contraccolpo della fine della Guerra fredda. I l Bric e l’Ocs, concepiti all’indomani dell’11 settembre 2001, ambiscono a ridisegnare le mappe geostrategiche mondiali in campo economico, finanziario, politico e militare. Per riassumere, a rifiutare o impedire l’efficacia delle eventuali sanzioni contro Teheran e a esigere una riforma globale del sistema internazionale (Fmi, Onu) e un ordine mondiale multilaterale, sono i Paesi del Bric, i paesi dell’Ibsa (Brasile, India e Sud Africa), le tre democrazie più grandi e più potenti del sud, che nel vertice del mese scorso hanno anche chiaramente respinto ogni nuova sanzione contro Teheran e chiesto di risolvere la crisi con l’Iran solo con la diplomazia. Poi una parte dei Paesi dell’Ibsa, che in-tende promuovere anche esso la cooperazione tra questi tre paesi e la cooperazione sud-sud in generale. Di fronte all’egemonia statunitense e europea, e a ciò che numerosi paesi del Terzo Mondo avvertono come «arroganza occidentale» (Fmi, «droit-del’hommisme » [la cosidetta strumentalizzazione dei diritti dell’Uomo], democrazia liberale, istituzioni internazionali ecc.), è sempre più evidente alle Nazioni Unite un’alleanza tra stati totalitari, (”rosso-verde-neri”) attorno ai grandi temi internazionali. La Corea, la Bielorussia, Cuba o la Cina non votano le sanzioni contro il regime islamista-militare arabo di Khartoum, che ha già provocato lo sterminio di 2 milioni di neri cristiani o di musulmani nel Sudan meridionale o nel Darfur. I paesi ”rossi” non votano le sanzioni contro l’Iran nazislamista di Ahmadinejad, che avrà fra poco la bomba nucleare, anche grazie al Bric, alla Turchia o al Brasile. In cambio, il Sudan, la Siria o l’Iran, sono solidali con gli stati comunisti colpiti da sanzioni, come nel caso di Cuba o della Corea del Nord. Alle conferenze antioccidentali organizzate dal Consiglio per i diritti dell’Uomo dell’Onu a “Durban I” nel 2001 e a Ginevra (Durban II) nel 2009, e in maniera ricorrente alla sede di questo strano Consiglio, o in quella dell’Onu di New York, si constata sempre di più la radicalizzazione del fronte antioccidentale rosso-verde che ricorda la Tricontinentale. L’autore di quest’articolo ha constatato personalmente al Consiglio dei Diritti dell’Uomo, nel 2008 e nel 2009, che paesi totalitari o rossi come Cuba, la Bielorussia, la Corea del Nord o il Venezuela votano e sostengono le proposte formulate dal gruppo degli Stati arabi e dall’Organizzazione della Conferenza Islamica (Oci), che miravano a sanzionare Israele o a perseguire «l’islamofobia» e «la diffamazione contro le religioni». Allo stesso tempo, questi stati rossineri- verdi diffendono il diritto dell’Iran ad acquistare un’industria nucleare, pur sapendo, anche se lo negano, che nasconde un programma nucleare militare che contribuirà a cambiare l’equilibrio fragile nel Medio Oriente e nuocerà agli interessi occidentali in questa zona. A questa postura che sfrutta un clima di risentimento e di revanchismo che favorisce alleanze contro- natura per distruggere l’unilateralismo occidentale, partecipano, pur essendo non apertamente nemici dell’impero euro-americano, i paesi a ”doppio viso”come il Brasile, la Russia, la Cina, la Turchia, l’Indonesia, il Pakistan o l’Algeria, che aiutano d’un modo o l’altro l’Iran futura potenza atomica. Questo nuovo fronte ambiguo unisce quelli che sono apertamente i nostri nemici e quelli che si presentano come “intermediari di pace” tra noi e i nostri nemici (come Erdogan e Lula lunedi a Teheran sulla questione del nucleare). Ricorda comunque la Tricontinentale oppure il “Fronte globale anti-sistema”concepito dal pensatore argentino ”rosso-nero” anti-americano Noberto Ceresole. Ispiratore di Hugo Chavez, questo geostratega negazionista, che voleva unire l’ultra-nazionalismo, il sovietismo e l’islamismo radicale contro l’Occidente, sarebbe stato meravigliato da quello che sta accadendo adesso con i vertici dell’Ocs, del Bric e dei Non-Allineati. Sarebbe “fiero” dell’amicizia tra il suo discepolo Hugo Chavez e il suo “fratello” Mahmud Ahmadinejad.

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